Beni del comune di Napoli concessi ai privati: esposto alla Corte dei Conti. ECCO L’ELENCO

Nel concedere a privati l’uso di beni immobili di sua proprietà, il Comune di Napoli non solo ha compiuto un’azione “illegittima” sotto il profilo costituzionale, ma ha creato un danno erariale venendo meno all’adempimento di precise disposizioni di legge. Sono i due punti chiave di un esposto alla Corte dei Conti regionale depositato questa mattina dall’Associazione “Volontari per l’Italia” presso la sede in via Piedigrotta 63 a Napoli. Ecco nel dettaglio i contenuti dell’esposto con il quale l’associazione politica di area nazional popolare sovranista avanza precise contestazioni nei confronti dell’amministrazione partenopea partendo dall’esame di cinque deliberazioni (dal 2011 al 2016, quindi nella prima e seconda consiliatura dell’era de Magistris) in merito alla concessione di beni demaniali a soggetti privati. Le deliberazioni sono: la n. 797 del 7 luglio 2011 (in cui si modifica lo Statuto del Comune di Napoli introducendo la categoria giuridica di “beni comuni” considerati come “appartenenza collettiva e sociale, oltre la distinzione pubblico-privato e proprietà-gestione; attraverso un governo pubblico partecipato; per un utilizzo equo e solidale”); la seconda è la n. 24 del 22 settembre 2011 (che aggiunge al comma 1 il n. 2 che recita “il Comune di Napoli, anche al fine di tutelare le generazioni future, riconosce i beni comuni in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico”); la terza è la n. 400 del 25 maggio 2012 con la quale la giunta approva le “linee guida per la destinazione del complesso di San Gregorio Armeno, denominato ex Asilo Filangieri, situato in via Maffei n. 4, a luogo di utilizzo complesso in ambito culturale, nonché come luogo di sperimentazione della fruizione, dei processi di elaborazione di democrazia partecipata nell’ambito della cultura, intesa come bene comune e come diritto fondamentale dei cittadini”. La quarta è la 893 del 29 dicembre 2015, “ancora sul presupposto di una fruizione collettiva del bene patrimoniale dell’ente locale – sottolinea l’esposto di ‘Volontari per l’Italia’ – che finiva per concedere l’immobile ad una serie di iniziative private, il cui elenco era allegato alla stessa delibera, accollandosi comunque i costi gestionali della struttura”. La quinta e ultima delibera è la numero 446 del 1 giugno 2016 che, richiamando “i predetti provvedimenti e le finalità di fruizione pubblica in essi dichiarate [ma come si dirà più avanti, del tutto disattese], ha deciso – sulla base di materiali informativi approssimativi, generici e non ascrivibili a soggetti qualificati, quali ‘dossier autoprodotti, passaggi di stampa, social network, ecc.’ – di mettere a disposizione di non meglio precisati soggetti i seguenti immobili, “con il sistema dell’autoregolamentazione dell’accesso, della programmazione delle attività e del funzionamento messi a punto dalla relative comunità civiche”: salita San Raffaele n. 3 (ex convento delle Teresiane), via Nisida n. 24 (ex Lido Pola), via di Pozzuoli n. 110 (Villa Medusa), via Matteo Renato Imbriani (ex monastero di Sant’Efremo nuovo ex OPG), salita Pontecorvo n. 46 (ex convento delle Cappuccinelle ex carcere minorile Filangieri), via San Giovanni Maggiore Pignatelli n. 5 (ex conservatorio di Santa Maria della Fede), via Salvator Rosa n. 195 (ex scuola Schipa).

 “Dalla su riportata cronologia dei provvedimenti comunali in materia – prosegue l’esposto dell’associazione nazional popolare sovranista “Volontari per l’Italia” – si evince che la Giunta Comunale, attraverso un’apparente motivazione dei provvedimenti consistente nella fruizione collettiva e civica dei beni patrimoniali dell’ente locale, in sostanza, invece, mediante il meccanismo della concessione a privati finisce per vanificare e anzi contraddire le demagogicamente proclamate finalità collettive”. Quattro i rilievi specifici che si chiede alla Corte dei Conti di prendere in considerazione per verificare che ci sia stato danno erariale. In primis quello secondo cui “la formulazione della ‘categoria giuridica dei beni comuni’ va contestata come illegittima” perché appare “ben al di là della Legge, in quanto non contemplata dalla disciplina codicistica (articoli da 822 a 831 C.C.), né dalla Legge e dal Regolamento di Contabilità Generale dello Stato, né dal T.U.E.L. , né dalla Legge di Contabilità degli Enti Locali”. In secondo luogo, il fatto che al di là delle formulazioni adottate, in realtà, si viene a concretizzare una “concessione di valorizzazione” per la quale i privati sono tenuti a presentare un piano d’investimento. Circostanza, sottolineano, che non solo non è avvenuta ma non è neanche prevista dalla deliberazione del Comune di Napoli. Il terzo rilievo riguarda la mancata osservazione della norma che impone “la scelta del concessionario attraverso procedura di evidenza pubblica” evitando che si possa creare una “discriminatoria competizione tra i soggetti interessati”. Infine, si osserva, “non va tralasciato l’aspetto relativo ai costi di gestione di detti immobili i quali, benché concessi a privati, finiscono per ricadere sulle casse del Comune di Napoli, non essendo previsto alcun canone concessorio o comunque un corrispettivo anche nell’ipotesi di fruizione temporanea, con finalità di copertura di detti costi. Il canone della concessione va determinato secondo valori di mercato. Neanche ciò è previsto nelle delibere soprindicate”. 


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