Camorra, i pentiti: “Il carcere di Santa Maria Capua Vetere costruito con il cemento dei Casalesi”

 

Ci sono le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia un tempo elementi di primo piano dei Casalesi, come Nicola Panaro, capozona della cosca, ma anche il boss del centro storico di Napoli Giuseppe Misso nell’ordinanza di custodia cautalere in carcare firmata ieri dal gip  Rosa De Ruggiero del tribunale di Napoli per i due esecutori materiali dell’omicidio dell’imprenditore casertano Vincenzo Feola: ovvero, Andrea Cusano ed Ettore De Angelis, e per i due mandanti. Vale a dire i boss Francesco Bidognetti, alias “Cicciotto e Mezzanotte», e Francesco Schiavone Cicciariello, cugino del capoclan Francesco “Sandokan”. E dalle dichirazioni dei pentiti emerge come anche il carcere di Santa Maria Capua Vetere sia stato costruito con il cemento dei Casalesi. Il defunto Carmine Schiavone in un verbale del 1993, aveva già spiegato ai magistrati l’imposizione del calcestruzzo in quegli anni.  “Il carcere di Santa Maria Capua Vetere è stato costruito con il calcestruzzo del consorzio dei Casalesi. E chi cercava di metterci le mani moriva. Mille lire a metro cubo i soci dovevano darli al clan. Il prezzo lo decidevamo noi per Caserta; altrove l’ultima parola spettava a Carmine Alfieri con un sistema pressoché uguale”. Poi in epoca più recente ne ha parlato Giuseppe Misso ex boss del rione Sanità a Napoli: Mattone su mattone il carcere di Santa Maria Capua Vetere fu cementificato con il calcestruzzo imposto a fornitori e imprese. Il prezzo, alle cave, lo imponevano i Casalesi. Mille lire a metro cubo nelle casse del clan. Nessuna concorrenza. Mangiare tutti, ma poco”. Era questa la filosofia dell’epoca dei Casalesi. Poi la storia ha dimostrato ben altro. E per questo che Feola fu ucciso il 21 ottobre 1992 dentro la sua azienda perche’ non voleva restare nel consorzio Cedic, creato da Antonio Bardellino, il primo boss dei Casalesi, per gestire in regime di monopolio la fornitura del calcestruzzo nel territorio.”Il patto del Cedic prevedeva che chi cercasse di fuoriuscirne finisse ammazzato. Ogni cosa che riguardava il calcestruzzo passava per le mie mani quindi sono in grado di riferire in merito nel dettaglio”. Ha messo a verbale il pentito casertano Nicola Panaro, che pure eÌ€ indagato nello stesso procedimento.

Nel consorzio erano confluiti tutti i produttori di calcestruzzo casertani, i titolari di cave e quelli di impianti di produzione. Feola in un primo momento aveva aderito al raggruppamento di imprese, poi aveva deciso di uscire perche’ non era disposto a pagare al clan 2mila lire per ogni metro cubo di calcestruzzo venduto, il ‘pizzo’ imposto alle ditte per lavorare. All’epoca, l’imprenditore era impegnato nei lavori di costruzione del centro orafo campano ‘Il Tari”, nell’area industriale di Marcianise. Per gli investigatori, la sua decisione poteva anche essere legata al fatto che credeva di poter contare in questa sua ‘ribellione’ sull’appoggio del clan Belforte, egemone nell’area.

(nella foto il carcere di santa Maria Capua Vetere e il pentito Nicola Panaro)


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