“Si era costruito un rudimentale cappio, lo ha infilato al collo e poi si è lasciato andare. Così ha tentato il suicidio, giovedì mattina verso le 5, un detenuto tunisino di 35 anni, ristretto nella Casa circondariale di Cremona per furto e con un breve fine pena, 31 dicembre 2017. L’uomo è clinicamente morto”. Ne dà notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE. Alfonso Greco, segretario regionale per la Lombardia del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “L’insano gesto – posto in essere mediante impiccamento – non è stato consumato per il tempestivo intervento del poliziotto penitenziario di servizio, subito intervenuto ed entrato in cella dopo aver raccolto le grida dell’uomo. Il suo provvidenziale intervento, congiuntamente all’intervento di medico, sorveglianza ed altri colleghi, ha sì evitato che l’estremo gesto si compisse ma le gravi conseguenze sono state tali che l’uomo è clinicamente morto”. Il SAPPE ricorda che “negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21mila tentati suicidi ed impedito che quasi 168mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, sottolinea Donato Capece, segretario generale del SAPPE. Donato Capece, segretario generale del SAPPE: “Ogni giorno contiamo gravi eventi critici nelle carceri italiane, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dal DAP. Ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella e ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Non vediamo però soluzioni concrete alle aggressioni, risse, rivolte e incendi che sono all’ordine del giorno, visto anche il costante aumento dei detenuti in carcere, o all’endemica carenza di 7.000 unità nei ruoli della Polizia Penitenziaria”. “Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri”, conclude. “Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.
