Napoli. Un banale incidente, mani sporche di sangue, una felpa macchiata. Sono partite da questo episodio le indagini che hanno portato gli inquirenti a identificare i responsabili del duplice omicidio di Alessandro Laperuta e Mohammed Nouvo, esponenti del clan Amato-Pagano, uccisi a Melito un anno fa. Protagonista dell’incidente automobilistico il rampollo di un boss, oggi 16enne, arrestato su disposizione del Gip Pietro Avallone. Il ragazzo, secondo quanto emerso dalle indagini, il 20 giugno del 2016 partecipò e organizzò il duplice omicidio di Melito. Un ragazzo dalla “spiccata capacità criminale”, come dimostrano le intercettazioni ambientali, così viene definito il minore arrestato. Appena 15enne ha organizzato ed eseguito il duplice omicidio a Melito, di due affiliati al clan Amato- Pagano, gestori di una piazza di spaccio che avevano agito con troppa autonomia rispetto alle direttive della cosca.
Il caso, un anno fa, fu seguito dal capitano Antonio De Lise, a capo dei carabinieri della compagnia di Giugliano. Furono sparati tanti colpi, a distanza ravvicinata, che provocarono ferite devastanti. Una vera e propria esecuzione, all’ora di pranzo. Una sparatoria nel corso della quale rimase ferito anche il baby boss, fu raggiunto da un colpo al petto. Arrivò all’ospedale di Giugliano, che dista poco piu’ di cinque chilometri dal luogo dell’agguato forse con il suo stesso scooter. Il ragazzo si atteggiava da tempo a baby boss, consapevole della forza del suo cognome che a Melito conoscevano tutti, soprattutto perchè lui non faceva altro che ricordarlo. Entrava in un bar e pretendeva che gli pagassero il caffè perchè lui era figlio del boss. E poi ancora obbligava gli altri a pagargli il parcheggio o anche cose banali pur di sottolineare il suo ruolo in paese. E guai se qualcuno non rispettava le sue richieste o anche se solo lo guardava in strada con insistenza: scattavano liti, risse e punizioni. Era spesso accompagnato da due persone, il baby boss, e faceva di tutto per dimostrare che era pronto a scalare i vertici del clan. Voleva fare il capo ma era pur sempre un ragazzino di 15 anni e così spesso attirava su di sè attenzioni che un vero capoclan avrebbe, invece, evitato. Una punizione, quella riservata ai due affiliati, che al baby boss è costata cara: il carcere con l’accusa di omicidio aggravato da finalità mafiose e di detenzione e porto illegale di armi da guerra.
Gli inquirenti quasi subito si sono indirizzati sulla pista che portava al ragazzino per ricostruire quanto avvenuto al quarto piano di una palazzina popolare nel grosso centro alle porte di Napoli, in via Giulio Cesare, dove furono trovati Alessandro Laperuta, morto, e Mohammed Nouvo, agonizzante. L’uomo morì in serata in ospedale. Poco prima, intorno alle 13.30, per caso, una pattuglia di carabinieri aveva assistito ad uno scontro a un incrocio in via Di Giacomo tra uno scooter Yamaha Tmax e una Fiat Punto; a terra proprio il ragazzo arrestato oggi su mandato del gip dei minori e il suo complice. L’adolescente aveva le mani sporche di sangue, la felpa blu Adidas, anche quella macchiata e con un foro all’altezza dell’addome. “Bisogna portarlo in ospedale”, disse ai militari dell’Arma chi era alla guida dell’auto. “Devo andare in ospedale”, gli fece eco il 15enne, che fermò uno scooter di passaggio per poi allontanarsi. Da questa informativa partì il lavoro che ha portato a comprendere le dinamiche e ad identificare i responsabili del duplice omicidio.
Mentre il complice è costretto a dare conto ai carabinieri dei suoi spostamenti fino a quell’incidente, il ragazzo va in ospedale prima a Giugliano e poi al Cardarelli di Napoli. Il suo racconto non cambierà mai: si è ferito nello scontro tra scooter e Panda, anche se le cartelle cliniche parlano invece di una ferita da colpo d’arma da fuoco. E il complice non darà mai le sue reali generalità ai militari dell’Arma che lo hanno bloccato, anche se questi riconoscono il figlio del boss. Nel frattempo, quello stesso 20 giugno, le intercettazioni ambientali a casa del padre del complice, elemento del clan su cui già c’era l’attenzione della magistratura, forniscono altre prove per inchiodare il minorenne alle sue responsabilità. “Io personalmente gliel’avevo detto a … non è il momento adatto”, impreca il padre del complice maggiorenne, riferendosi all’adolescente aspirante boss. La decisione dunque di uccidere Laperuta e Nouvo era condivisa dal clan, spiega il gip, ma il 15enne ha scelto quando e come compierla. Nelle intercettazioni si sente anche la madre del ragazzo, che ricorda come fra lui e uno degli uccisi, Nouvo, c’era già stata una lite per una “questione scema”, finita con il ragazzo che prendeva la pistola che Mohamed Nouvo gli aveva consegnato e gliela dava con violenza in testa. Anche la giovane convivente di Alessandro Laperuta davanti agli inquirenti non fa nessuna ammissione, ma della frizione interna al clan rivela aspetti sia in una conversazione con la madre di poche ore più tardi rispetto l’omicidio (“noi non dobbiamo proprio dire niente”, dice alla mamma) sia all’ex convivente da cui ha già avuto una figlia (“ho letto sul giornale che mancava droga ma se è sparita è stato Mohamed non Alessandro”, spiega). Elementi vengono fuori anche dalla scena del delitto dove, oltre ai fori e bossoli di proiettile nonchè la pistola calibro 38 con cui c’è stata la duplice esecuzione per mano del baby boss, ci sono anche impronte di suole di scarpa, nonostante la copiosa acqua caduta a terra per un rubinetto lasciato aperto non si sa se per caso o per coprire le tracce. Del resto, il 16enne oggi arrestato, come dicono le informative dei carabinieri, era nella zona del delitto in orario “compatibile”, con l’omicidio, nota il gip, e da lui e dai suoi complici arrivano “indicazioni del tutto sconfessate dalle indagini”.
