Scafati. “C’è il riscontro per la tornata elettore del 2013 e del 2015 delle modalità mafiose utilizzate per il procacciamento dei voti”: c’è stato patto politico-mafioso tra l’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti e il clan Loreto-Ridosso. Ormai è Cassazione. A sostenere questa tesi la sesta sezione della Corte di Cassazione che a marzo scorso ha discusso il ricorso presentato dal pm Vincenzo Montemurro della Dda di Salerno e dagli imputati per la richiesta di arresto nei confronti di Angelo Pasqualino Aliberti, del fratello Nello Maurizio e dei pregiudicati Luigi e Gennaro Ridosso. Le motivazioni della sentenza della Cassazione, depositate nei giorni scorsi, sono un duro atto di accusa nei confronti dell’ex primo cittadino, della sua condotta solo apparentemente ‘legale’ e che invece era fatta da accordi ‘sottobanco’ con esponenti della criminalità organizzata. Gli Ermellini sposano in pieno la tesi del Tribunale del Riesame di Salerno che ribaltava, in merito alle esigenze cautelari la decisione del Gip e pur rigettando il ricorso del pm – dichiarato inammissibile – concordano con il ragionamento logico fatto dai giudici salernitani, pur con le prescrizioni che riguardano le esigenze cautelari in particolare la custodia cautelare in carcere. Il ragionamento giuridico è questo: lo scambio di voto politico-mafioso c’è stato, ma gli indagati, Angelo Pasqualino Aliberti, Luigi e Gennaro Ridosso non devono finire in carcere, piuttosto possono avere una misura alternativa come gli arresti domiciliari.
Elezioni amministrative del 2013. I giudici della Corte di Cassazione – presidente Vincenzo Rotundo, relatore Anna Criscuolo – avallano il ragionamento del Riesame che ha ritenuto che Aliberti ha agevolato l’associazione mafiosa che voleva ottenere appalti ‘per consolidare il proprio potere economico-mafioso sul territorio’. Questo patto – secondo i giudici – è stato accettato ‘da Aliberti, e – contrariamente alle deduzioni dei ricorrenti -, per tale tornata elettorale vi è anche riscontro delle modalità mafiose utilizzate per il procacciamento dei voti”. Gli ermellini ritengono che il riscontro a questa tesi è offerto dalle foto delle schede elettorali votate a favore di Barchiesi (il consigliere comunale eletto nella lista Grande Scafati, zio all’epoca di Alfonso Loreto, e messo in lista dal clan come suo referente al posto di Andrea Ridosso, ndr), rinvenute nel cellulare di Ridosso Andrea, che provano la modalità di controllo esercitata sugli elettori, i quali ne offrivano il riscontro, come dichiarato da Loreto Alfonso, il quale ha riferito di velate minacce e di voti comprati, versando pochissimi soldi alle persone più disagiate, abitanti nei pressi della sua abitazione e di quella dei Ridosso, che ben ne conoscevano e riconoscevano la fama e il potere criminale”.
Elezioni Regionali del 2015. In questo caso il Gip aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per Pasquale Aliberti, il fratello Nello Maurizio e i due cugini Luigi e Gennaro Ridosso, ritenendo che il patto tra il candidato sindaco e gli esponenti del clan del 2013 non si fosse poi protratto e consumato anche per le Regionali nelle quali era candidata Monica Paolino, moglie di Aliberti.
Ma ancora una volta, i giudici della Cassazione concordano con la ricostruzione logica e storica del Riesame. “Il ricorso al metodo mafioso – scrivono nelle motivazioni – è stato ritenuto immanente all’organizzazione di stampo camorristico, riguardando l’oggetto dell’accordo proprio l’acquisizione del consenso elettorale con metodo mafioso”. Secondo i giudici ‘la logica causale della scelta dell’interlocutore, da parte del candidato, è determinata proprio dalla fama criminale dell’associazione e dalla consapevolezza delle modalità con cui sarà attuato il reclutamento elettorale’. Il ricorso al metodo mafioso anche per le elezioni regionali del 2015 da parte di Aliberti, vero promotore della campagna elettorale della moglie, è dimostrato dalle ‘modalità di convocazione degli elettori, addirittura prelevati e accompagnati fisicamente presso l’abitazione di Ridosso Anna (sorella del ras Romolo Ridosso, ndr), luogo difficilmente eludibile, per la riunione elettorale della Paolino, organizzata in luogo privato il giorno prima delle elezioni ovvero in un giorno di sospensione della campagna elettorale per rimediare al comizio organizzato, ma non tenuto il giorno prima”.
Per gli Ermellini, nulla importa se il patto scellerato “fosse stato stipulato con Ridosso Andrea (fratello di Luigi jr, ndr), estraneo all’associazione mafiosa, emergendo la consapevolezza di Aliberti della sua appartenenza ad una famiglia mafiosa, radicata e nota sul territorio, in grado di mobilitarsi e di veicolare voti in suo favore”.
La Corte di Cassazione aveva annullato, il 7 marzo scorso, l’ordinanza del Riesame limitatamente alle esigenze cautelari – per Angelo Pasqualino Aliberti, Luigi e Gennaro Ridosso i giudici salernitani avevano decretato la custodia cautelare in carcere – rinviando per un nuovo esame al Tribunale di Salerno. Una decisione assunta anche per valutare ‘l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari e di scelta della misura da adottate, tenendo conto delle dimissioni nel frattempo rassegnate da Aliberti e degli altri elementi indicati dai ricorrenti in ordine alla concretezza e attualità del pericolo di reiterazione”.
L’ex sindaco Aliberti, in definitiva, viene salvato dalla misura del carcere proprio in virtù delle dimissioni rassegnate a dicembre scorso e al successivo insediamento della commissione straordinaria, dopo lo scioglimento del consiglio comunale. Ma un dato resta acclarato per la Cassazione: le elezioni del 2013 e del 2015 sono state condizionate dallo scambio di voto politico-mafioso. Un patto scellerato, una cambiale ‘in bianco’ firmata dall’ex sindaco Pasquale Aliberti, in cambio di sostegno elettorale per lui e la moglie, consigliere regionale di Forza Italia, Aliberti avrebbe ‘ripagato’ quel sostegno con un appalti a ditte riconducibili al clan Loreto-Ridosso e un posto di lavoro in una coop che lavorava per il Piano di zona per Andrea Ridosso, fratello di Luigi.
Rosaria Federico