Gragnano. Spaghetti ‘Garofalo’ prodotti in Turchia: la Cassazione conferma il sequestro ‘violazione del made in Italy’. Il carico era stato bloccato nel porto di Genova. Un milione di chili di spaghetti, prodotti per conto dell’azienda gragnanese in Turchia, era stato sequestrato dalle forze dell’ordine perchè la dicitura apposta sulle confezioni destinate alla grande distribuzione era fallace. La Cassazione ha confermato la linea adottata dalle forze dell’ordine e respinto il ricorso del pastificio campano L. Garofalo di Gragnano. E’ la seconda volta che il maxi sequestro, emesso nell’ottobre 2015, approda in Cassazione che nel giugno 2016 lo aveva annullato con rinvio. Ora il riesame bis dello scorso settembre, è stato convalidato. Ad avviso della Cassazione, in maniera “argomentata e logica”, il Tribunale del riesame nel congelare l’ingente carico “ha ritenuto fallaci le indicazioni apposte sulla pasta, tali da ingannare il consumatore sulla provenienza della merce e da integrare l’ipotesi penale”. La scritta ‘made in Turkey’ era poco vedibile e facilmente cancellabile, mentre era in bella vista il richiamo all’Italia e a Gragnano. In particolare, con riferimento alla dicitura sulle confezioni, la Suprema Corte – nella sentenza 25030 che inaugura una linea molto severa in tema di tutela dei brand nazionali – rileva che “mentre i caratteri relativi all’area geografica ‘Napoli Italia’ e alla ditta produttrice ‘prodotta e confezionata for pastificio L. Garofalo spa Via Pastai 42 Gragnano NA Italy’ erano ben evidenti sulla confezione, la dicitura ‘Made in Turkey’, sulla base di un esame diretto ad opera degli stessi giudici liguri, era confinata sotto la data di scadenza, poco leggibile e apposta con inchiostro diverso, facilmente rimuovibile”. La decisione del Riesame era stata impugnata dall’amministratore delegato della Garofalo, Massimo Menna, che si era difeso dall’accusa di aver messo in vendita prodotti industriali con segni contraffatti, frode contro le industrie nazionali, e violazione del ‘made in Italy’. Menna aveva sostenuto nel ricorso davanti alla Suprema Corte che i 2700 colli di pasta della linea ‘Santa Lucia’ erano destinati al mercato africano, al Benin Mali, e la sosta ligure era solo tecnica per l’imbarco delle merci verso l’Atlantico. Secondo la difesa di Menna, non era stato commesso alcun illecito penale perchè la pasta non era per il mercato italiano nè europeo, erano spaghetti in transito da un paese straniero ad altro paese, entrambi extracomunitari, “non era stata posta in essere alcuna attività di sdoganamento funzionale a una commercializzazione in Italia della pasta, solo temporaneamente depositata in area doganale”. Secondo gli ‘ermellini’, invece, correttamente i giudici liguri hanno ritenuto “esservi stata introduzione almeno temporanea nel territorio italiano e risultando la commercializzazione da parte del pastificio Garofalo con sede a Gragnano proprio dalla fattura emessa in favore della ditta francese ‘Franco Africanine del Negoce sas’ con sede a Parigi”. L’emissione della fattura in Italia rileva come “parte del processo di messa in circolazione della merce” e non importa se “nella fattura è indicata la clausola FOB, ossia l’indicazione del porto di imbarco in Turchia”. Inoltre “il magazzino dove era temporaneamente custodita la merce sequestrata si trova nell’area doganale e quindi in territorio italiano” pertanto – afferma la Cassazione – “anche la presenza temporanea della merce, ancorchè destinata all’estero, appare condotta idonea a integrare l’importazione, nel senso di introduzione, della stessa nel territorio italiano”.Â
