Racket al mercato dei fiori: la Cassazione conferma i 120 anni di carcere al clan Cesarano

E’ diventata definitiva la pena complessiva di 120 anni di carcere per i 14 affiliati al clan Cesarano per il racket al mercato dei fiori al confine tra Castellammare e Pompei che nell’ottobre del 2o13nel corso dell’operazione “Easy mail”che portò in carcere  ben 18 persone legate al clan Cesarano tra cui il boss Nicola Esposito ‘o mostro. La Corte di Cassazione ha accolto (parzialmente) solo il ricorso del ras Antonio Inserra detto Tonino ‘o guerriero (difeso difeso dall’avvocato Francesco Schettino), la cui  condanna è stata ridotta a 12 anni rispetto ai 20 del primo grado che gli aveva contestato era la posizione di “capo promotore” delle estorsioni agli imprenditori pompeiani. Confermate tutte le altre condanne ma ci sarà da arrestare un mezza dozzina di persone che nell’ultimo anno erano usciti dal carcere per decorrenza dei termini della custodia cautelare.

Le altre condanne: 15 anni per Michele Onorato, ‘o pimuntese, ex appartenente alla batteria di fuoco del boss Umberto Mario Imparato nella guerra degli anni Novanta contro i D’Alessandro; 16 anni di carcere per Salvatore Sansone; 10 anni e mezzo Agostino Cascone. E ancora per Raffaele Cafiero (8 anni e 8 mesi), Francesco Inserra (7 anni), Carmela Zurlo (6 anni e mezzo), Giovanni Corbelli (6 anni e 8 mesi), suo fratello Oreste, Anna Inserra e Michele Santarpia (6 anni per tutti). Infine, per Francesco Solimene (8 anni), Francesco d’Assisi Inserra (7) e Pasquale Cipollaro (4). Un totale di 120 anni di reclusione. Secondo l’Antimafia, i Cesarano gestivano il racket nel mercato dei fiori di Pompei: incontravano le vittime in una serra in località Ponte Izzo e le minacciavano. L’operazione «Easy Mail» portò ad una ventina di arresti tra gli affiliati al clan Cesarano, anche grazie alle dichiarazioni del pentito Vincenzo Procida, deceduto in un misterioso incedente stradale poco dopo aver avviato la sua collaborazione con la giustizia.
Durante le indagini, era stato scoperto anche il sistema di corruzione di due guardie carcerarie, che permettevano anche incontri tra Inserra e la sua amante, un’infermiera in servizio a Poggioreale, ma anche l’arrivo di telefonini in cella e lo scambio di pizzini tra carcerati e affiliati in libertà. Tutto era partito dall’omicidio di Carmine D’Antuono, avvenuto a Gragnano il 28 ottobre 2008: nelle tasche della vittima fu trovato un biglietto che lo avvertiva di stare attento, un pizzino che era partito dal carcere ed era stato scritto da Antonio Inserra.
(nella foto il boss Nicola Esposito ‘o mostro)


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