E’ iniziato oggi alla Corte d’Assise del tribunale di Napoli (terza sessione) il processo per i reati, entrambi con l’aggravante mafiosa, di disastro ambientale e avvelenamento di acque a carico di Giambattista Toninelli, colletto bianco varesino (risiede a Castronno). Toninelli, unico imputato, e’ ritenuto dalla Dda l’anello di congiunzione tra le aziende del Nord che producevano rifiuti soprattutto speciali e nocivi e i clan casertani che hanno poi smaltito illecitamente quei materiali in discariche pubbliche campane o in terreni privati ubicati specialmente nelle province di Napoli e Caserta. Il dibattimento e’ una costola del piu’ importante processo alle Ecomafie, il cosiddetto processo Resit, conclusosi lo scorso anno a Napoli, che ha visto condannati in primo grado i maggiori “artefici” del disastro ambientale campano, ovvero gli imprenditori del clan dei Casalesi Cipriano Chianese (20 anni) e Gaetano Cerci (16 anni), quest’ultimo alter ego del boss Francresco Bidognetti, storico capo dei Casalesi che avvio’ alla fine degli anni 80′ il traffico illecito di rifiuti dal Nord al Sud della Penisola con la sua societa’ Ecologia 89, proseguendo nell’attivita’ fino a meta’ dei 90′; per questi fatti il capoclan e’ stato condannato. Tra le persone condannate anche importanti funzionari pubblici, come l’ex subcommissaro all’emergenza rifiuti Giulio Facchi (5 anni e sei mesi di reclusione). Per i magistrati antimafia – sostituto procuratore Sandro D’Alessio – Toninelli, tramite soprattutto la societa’ CTM 2000 di Milano, ha avuto un ruolo di primo piano nel traffico orchestrato da Chianese e Cerci per conto dei Casalesi, mediando tra quest’ultimi e le aziende del nord che volevano risparmiare sui costi di smaltimento dei rifiuti speciali o tossici; Toninelli guadagnava grazie a sostanziose parcelle, ed intanto i rifiuti andavano a finire in particolare nella discarica “legale” di Giugliano in Campania, denominata prima Setri, poi Cimevt e quindi Resit, che Chianese era riuscito a far aprire falsificando carte e perizie e corrompendo funzionari della Provincia di Napoli e della Regione. I giudici oggi hanno ammesso tre associazioni sulle cinque che avevano richiesto di costituirsi parte civile; ammessa Fare Ambiente, esclusa invece a sorpresa Legambiente (assistita da Giovanni Zara), che piu’ volte si e’ costituita in processi simili, come lo stesso processo “madre” Resit. L’associazione ambientalista sta valutando se presentare ricorso in cassazione contro la decisione. Non si sono costutiiti invece il Ministero dell’Ambiente e i comuni campani coinvolti.Â