Uno studio dell’Università di Perugia rivela che i tatuaggi all’hennè possono provocare dermatiti. Belli, indolori e soprattutto non permanenti, sono ogni estate una forte tentazione soprattutto per bambini e adolescenti. Una pratica in realtà che ha origini antichissime nei Paesi orientali e nell’Africa settentrionale, ma il rischio per la pelle, come evidenzia uno studio realizzato dall’Università degli Studi di Perugia, recentemente pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, è reale. “L’uso di tatuaggi temporanei all’hennè – spiega Susanna Esposito, professore ordinario dell’Università degli Studi di Perugia e presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, WAidid – è ormai una moda molto diffusa nel nostro Paese soprattutto in estate. I tatuaggi sembrano innocui ma non lo sono. Da evidenze scientifiche emerge, infatti, che la sostanza chiamata para-fenilendiammina che spesso viene aggiunta all’hennè naturale per ottenere un colore più scuro e duraturo, per le sue caratteristiche molecolari può indurre sensibilizzazione cutanea con varie manifestazioni cliniche alle ri-esposizioni, tra cui la più comune è la dermatite allergica da contatto. Nelle persone allergiche al composto, in particolare, il tatuaggio temporaneo può scatenare reazioni violente con gonfiore e rossore, mentre in chi ha una pelle molto sensibile e delicata può dare origine a una dermatite irritativa più lieve, ma altrettanto fastidiosa”. Secondo i risultati emersi, nel 50% dei casi presi in esame i tatuaggi all’hennè provocano manifestazioni cutanee come prurito, eritemi, vescicole e bolle, orticarie, o reazioni sistemiche come linfoadenopatie e febbre entro uno o due giorni dalla prima applicazione; nel restante 50%, invece, i sintomi compaiono solo dopo un ritocco – mostrando quindi una sensibilizzazione cutanea alla para-fenilendiammina presente nell’hennè – fino a 72 ore dall’effettuazione del tatuaggio. La necessità di terapie di lunga durata è un altro fattore che emerge dallo studio: nella maggior parte dei casi, la persistenza delle lesioni è stata riscontrata anche a 7 giorni dall’inizio della terapia con cortisone e antistaminici e una persistente discromia cutanea è stata osservata anche dopo 4 settimane dalla fine della terapia. Se certamente si arriva alla risoluzione del prurito e ad un miglioramento delle lesioni cutanee, in tutti i casi, secondo i dati emersi, ad un anno di distanza è riscontrabile una ipopigmentazione cutanea sulla zona dedicata al tatuaggio.