Un pezzo di storia della camorra di Castellammare di Stabia è morto con Renato Raffone, “battifredo”,a nziano boss 81enne deceduto nella sua casa all’Acqua della Madonna dopo una lunga malattia. Per i più giovani è diventato famoso per l’inchino della statua di San Catello sotto la sua abitazione nel maggio del 2011 sotto l’amministrazione del magistrato Luigi Bobbio che platealmente si tolse la fascia da sindaco e abbandonò il corteo che accompagnava il Santo Patrono. La cosa fini sui network di tutto il mondo. Ma Renato “Battifredo” Raffone è stato per anni uno di quelli che comandava nella camorra stabiese e non solo. Era un dipendente comunale con l’incarico di direttore del campo sportivo. La sua carriera criminale era iniziata alla fine degli anni Settanta con l’amicizia e la parentela con il defunto boss stabiese Michele D’Alessandro. Una figlia di Raffone aveva sposato Francesco D’Alessandro uno dei fratelli del boss, mai implicato in fatti di camorra e da anni fuori da Castellammare. La sua fama da camorrista se l’era conquistata combattendo accanto a Michele D’Alessandro contro i cutoliani agli inzi degli annti Ottanta e agli altri due boss che formavano il quandriunviarato della camorra stabiese ovvero Elio Rotondale “bancarella” e Antonio De Luca “vaccarella”. Con loro fu implicato nella famosa strage dei boschi di Quisisana agli inzi degli anni Ottanta. E in quegli anni divenne anche presidente della squadra di calcio della Juve Stabia che militava in serie D insieme con l’imprenditore Ludovico Imperiale padre di quel Lelluccio ‘o parente diventato oggi il più potente narcotrafficante d’Europa, legato a doppio filo agli “scissionisti” di Secondigliano e latitante di lusso a Dubai negli Emirati Arabi. In quel periodo i presidenti Raffone e Imperiale si “tolsero lo sfizio” di portare come allenatore l’ex bandiera dell’Inter e dalla nazionale, Lido Vieri. Poi Raffone fu condannato a oltre 20 anni di carcere nel famoso processo contro tutto il ghota della camorra stabiese accusato di traffico internazionale di droga, omicidi, associazione, estorsione e altri reati. In quel processo testimoniò anche un agente della Fbi che aveva collaborato alle indagini con la polizia italiana per i rapporti che il clan aveva oltre Oceano. E la sua testimonianza rimase famosa per il suo italiano maccheronico suscitando spesso le risa dei presenti in aula come quando a proposito di Renato Raffone lo chiamo”batifredi”. Raffone poi fu coinvolto e condannato in altri processi come quello cotro “lady usura” il notaio Bellone e nonostante le condanne era uscito dal carcere circa otto anni fa. Poi la storia recente lo aveva consegnato alle cronache come il boss dell’inchino ma la storia crominale di Renato Raffone era tutt’altra.