Seduto sul divano bianco della sua casa, in giacca da camera azzurra, Ciro Cirillo, 95 anni a febbraio, parla con lucidità, ma a voce lenta, del suo sequestro: “Sono state scritte pagine e pagine di giornali, decine di libri e migliaia di atti giudiziari sulla mia vicenda. La verità è che a qualcuno giovò il mio sequestro”.
Era il 27 aprile del 1981 quando alle 21.45, nel garage di via Cimaglia a Torre del Greco, le Brigate Rosse sequestrarono Ciro Cirillo, all’epoca assessore regionale all’Urbanistica. In cinque spararono sull’agente di scorta Luigi Carbone e sull’autista Mario Cancello, entrambi morti sul colpo. Rimase ferito solo Ciro Fiorillo, segretario dell’assessore.
Cirillo rimase prigioniero dei terroristi per ottantanove giorni. La sua liberazione avvenne tramite intrecci mai del tutto chiariti, che videro probabilmente anche la mediazione di Francesco Pazienza, faccendiere legato ai servizi segreti e di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata.
Per quella vicenda l’ordinanza del giudice istruttore di Napoli Carlo Alemi nel 1988 chiamò in causa anche Antonio Gava: “Ci fu un’istruttoria che aveva un solo obiettivo, incastrare Gava, allora ministro degli interni”.
Non ci fu trattativa tra la Dc e Raffaele Cutolo? “Lo escludo, assolutamente”.
Lo conferma invece Immacolata Iacone, moglie di don Raffaele: “Fu il momento in cui lo Stato cercò l’intervento dell’anti-Stato, questo mi ha sempre detto mio marito”. Ma fu anche il momento della fine per Cutolo, trasferito da Ascoli Piceno al carcere di massima sicurezza dell’Asinara mentre Vincenzo Casillo, tra i fedelissimi del boss di Ottaviano, fu fatto fuori, così come morirono, stranamente, molti di quelli che avevano avuto a che fare col sequestro Cirillo, a partire dal capo della Mobile di Napoli Antonio Ammaturo fino all’avvocato Enrico Madonna, legale di Cutolo.
La Democrazia Cristiana pretese da Ciro Cirillo le dimissioni dopo aver trattato per liberarlo. Solo tre anni prima lo stesso partito si era trincerato dietro la linea della fermezza per l’ex presidente Aldo Moro, decretandone la morte. “Non è così. I miei carcerieri mi dissero che la trattativa era stata avviata, che era giunta anche a buon punto, ma non fecero in tempo perché lo stesso giorno in cui fu comunicato l’accordo, Aldo Moro fu ucciso, me lo disse uno dei miei carcerieri, Pasquale Aprea”.
Per la liberazione di Ciro Cirillo fu pagato un riscatto di un miliardo e 450 milioni di vecchie lire: “I miei figli fecero cambiali per 300 milioni”, ricorda Ciro Cirillo.
A ritirare la somma fu il brigatista Giovanni Senzani, uno dei capi più sanguinari delle Brigate Rosse. Fu lui a “giustiziare” Roberto Peci, fratello di Patrizio Peci, primo brigatista pentito. Dopo averlo personalmente interrogato lo uccise con 11 proiettili, filmando l’esecuzione. Un omicidio che potrebbe essere stato un messaggio per chi sapeva o indagava sui misteri legati al caso Moro.
All’alba del 24 luglio 1981 Cirillo fu rilasciato in un palazzo abbandonato in via Stadera a Poggioreale.
(fonte tvsvizzera.it)