L’incredibile difesa del branco di San Valentino: “Non è stata costretta, prima ha pianto, poi…”

Raccontano particolari diversi, danno versioni agghiaccianti, che si incrociano con quella della vittima. Particolari di un incubo quelli raccontati dai ragazzi del branco che, letti con il senno di poi, rendono la storia della ragazzina di 14 anni di Sarno violentata nel garage di San Valentino Torio, ancora più sconvolgente. Si era vantato il primo ad averla violentata che alcuni mesi prima era stato con la 14enne in quel garage. «Non mi sono mai fidanzato, però», dice a giudici e carabinieri nelle sue confessioni. Poi, iniziano le contraddizioni. È stato lui a condurre, prendendola per un braccio, la ragazzina nel box. «L’ho portata giù contro la sua volontà, ….omissis… ci precedeva perché sapeva qual era l’intenzione di tutti i ragazzi: tutti volevano avere un rapporto sessuale con lei». Ma poi rivela. «Inizialmente piangeva, poi mi è sembrato che si calmasse e partecipasse». Quando gli altri tre ragazzi sono scesi nel garage hanno trovato gli amici nudi che abusavano, contemporaneamente e a turno della ragazzina. E quel pianto che  il primo violentatore dice di aver sentito solo a tratti, gli altri l’hanno avvertito distintamente. Urla e pianti. Fino allo sfinimento. Tant’è che l’ultimo in fila per abusare di lei è stato lì solo pochi minuti, poi l’ha riportata su, davanti alla villa per farle chiedere aiuto. «È una ragazza facile, ci sta»: il passaparola che, nonostante la evidente costrizione, le urla, i pianti, il branco diviso in due gruppi si è passato l’un con l’altro, dandosi il cambio in quel garage di San Valentino Torio. E poi c’è qualcuno che, nonostante l’evidenza, cerca di sostenere la tesi che quello che è accaduto laggiù sia stato un semplice rapporto tra minori consenzienti. Come …omissis…. «La ragazza ha cambiato posizione, mentre …omissis….faceva una cosa io facevo l’altra e poi il contrario». È in questo la follia dei giovani del branco, aver pensato che una ragazzina di 14 anni possa accettare di rimanere prigioniera per circa un’ora, costretta a fare sesso e immaginare che partecipasse al gioco. Nel racconto di questi giovani c’è l’atrocità di una violenza. «Si sono spogliati nudi avevano solo i calzini», dice la vittima. «Il mio amico l’ha aiutata a sbottonarsi i pantaloncini corti». E ancora. «Quando l’ho vista lei aveva solo gli occhiali da vista, era nuda per terra e gli altri la violentavano». E poi, versioni diverse: «…omissis… che era suo amico si vergognava di portarla giù e allora l’ha chiesto a noi. Poi è venuto anche lui». Tutti però accennano a quella scusa: «Era una ragazza facile». Una condanna premeditata per quella ragazzina indifesa, segregata in un box dove l’unico arredamento è una panchina su cui quei giovani hanno riposto i propri vestiti. Tutti uguali. Jeans e maglietta scura. Un modo per riconoscersi. Stesso modo di pensare. Stessa brutalità.(ro.fe.)


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