Un bambino di otto anni nella baby gang che ha pestato a Napoli un ucraino. Se non si trattasse di una bestemmia si potrebbe dire che la notizia è il miglior spot che oggi poteva avere Robinù, il documentario di Michele Santoro oggi alla Mostra del cinema di Venezia in Cinema nel Giardino. Il giornalista, che prepara un grande ritorno in tv nell’amata/odiata Rai – su Rai2 dal 5 ottobre – non ha mai abbandonato la passione per le inchieste di ampio respiro, reportage che lasciano il segno. E’ il caso di Robinù che racconta una “grande notizia dimenticata, la Paranza dei Bambini”, ossia la realtà dei baby boss di Napoli, camorristi adolescenti carne da macello loro stessi e le loro famiglie, mezzi analfabeti, con droga e kalash (il kalashnikov nel loro strascicato incomprensibile dialetto) come compagne di vita. Una storia scioccante, girata – “con parecchie difficoltà”, racconta Maddalena Oliva che con Santoro lo ha preparato – nel ventre molle di Napoli, a Porta Capuana, a Forcella, ai Tribunali, “in una continuità – dice all’ANSA il giornalista – tra quartieri e carcere anche urbanistica”. Con grande slancio Santoro spera che “la Rai lo trasmetta in prima serata, sarebbe una scelta editoriale e gli attuali vertici Rai hanno tutti gli strumenti culturali per non scambiarlo per una provocazione. Il documentario crudo, puro, integralista dovrebbe essere una produzione prioritaria, stare al primo posto nel contratto di servizio. Il nuovo gruppo dirigente Rai – prosegue Santoro – è sensibile, attento e colto, ma è come se fosse piegato ad una logica della rappresentazione del reale ordinata, pedagogica, ispirata ai buoni sentimenti, bisogna invece fare un atto coraggioso, una scelta politica di rappresentare la realtà disordinata come è”. Santoro si augura anche più attenzione alle giovani leve del cinema e della televisione, “che fanno una fatica incredibile”. E Fuocammare di Rosi? ”Non basta. Ci sono documentari di realismo cinematografico, come quel caso, e altri più integralisti sulla quali la Rai non è presente con sufficiente forza e di un editore importante se ne sente la mancanza”. Alla proiezione di Robinù, atteso il ministro della Giustizia Andrea Orlando (a Venezia per il documentario Spes Contra Spem di Ambrogio Crespi, sulle carceri), oltre a Sandro Parenzo della Videa che lo distribuirà, c’è anche l’ex direttore di Rai3 Angelo Guglielmi. Il film incrocia le storie di adolescenti killer consumati, Santoro intervista due baby boss in particolare e le loro famiglie assolutorie: Mariano Abbagnara che è stato il killer ragazzino dei D’Amico, il clan che ha in mano tutta la zona orientale di Napoli e che ora sta scontando una condanna a 16 anni nell’Istituto penale minorile di Airola, e Michele Mazio detto Michelino, condannato a 24 anni con una ‘carriera’ completa: un babyboss ‘maturo’ – ha compiuto 22 anni nel carcere di Poggioreale – adorato dalla sua famiglia che ha costretto il fratello maggiore ad espatriare in Francia perché da pizzaiolo voleva vivere onestamente. “Ho avuto una lezione molto pasoliniana – dice Santoro – siamo abituati a vedere ragazzi cinici, killer spietati mentre convivono tra la morte e una grande passione per la vita che noi che stiamo bene non sappiamo altrettanto nutrire”. Si è molto discusso del fascino per male di Genny Savastano e dei protagonisti di Gomorra, “ma è sbagliato, questo fascino nei rioni di Napoli ce l’hanno con ragazzi veri, leader che loro rispettano e mitizzano. L’inchiesta di Robinù da una parte conferma che la fiction non è campata per aria, dall’altra che Gomorra semplifica costruendo tipi che sono maschere, mentre la realtà di questi giovani è molto varia e il documentario è sentimentalmente più forte di una serie tv”. E proprio da Napoli, Santoro torna in Rai. L’argomento del debutto il 5 ottobre in prima serata su Rai2 della prima puntata di un nuovo programma non ha voluto annunciarlo a Venezia, ma c’è da immaginare che potrebbe coincidere con Robinù e la Paranza dei bambini (titolo anche del prossimo libro, in uscita a Natale per Feltrinelli, di Roberto Saviano e titolo dell’inchiesta che il 15 giugno scorso ha portato a 43 condanne accertando che i giovani feroci boss della camorra napoletana sono un vero e proprio clan, pronto a tutto e che ha già lasciato 60 vittime in due anni di guerra). “Sarà la prima di sei serate di cui le prime 4 avranno al centro un reportage commentato in diretta da una piazza e due, ‘M’: un nuovo formato sperimentale il cui titolo sta per Metropolis di Fritz Lang, per Michele, per Mostro – ha concluso – in cui cinema, teatro, ricostruzione, inchiesta si intrecciano”.