Caserta. Anna Buttone, moglie del boss irriducibile Domenico Belforte, condannata a sei anni di carcere a fronte di una richiesta di 20 anni di reclusione. Lo rende noto il suo difensore Dario Vannetiello a conclusione del processo dinanzi ai giudici della Corte di Appello di Napoli – VII sezione penale – dopo un ungo travagliato iter giudiziario. La donna era accusato di aver assunto le redini dello storico clan Belforte dop l’arresto del marito, avvenuto nel settembre del 1998: Maria Buttone fu condannata a 12 anni di carcere il 19 luglio del 2014 dal Gup del Tribunale di Napoli. Il giudice sposò la tesi dell’antimafia che voleva Anna Buttone direttore e organizzatore della cosca. In appello, l’avvocato Vannetiello ottenne l’astensione del collegio giudicante in quanto riuscì a dimostrare l’esistenza di una ragione di pregiudizio nei confronti dell’imputata e il processo continuò solo per lady camorra, stralciato da quello degli altri presunti affiliati del clan Belforte. Il 230 gennaio del 2015 la IV sezione della corte di Appello di Napoli, escluse l’aggravante di essere stata il capo del sodalizio e ridusse la pena da 12 a 8 anni. Finì per Maria Buttone, grazie a questa sentenza di appello, il lungo periodo di detenzione in regime di 41 bis. In Cassazione, quella sentenza – impugnata dal difensore Vannetiello – viene annullata, con rinvio dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli. A fondamento di questa decisione il ricordo del difensore il quale sosteneva che allargare il periodo di appartenenza di un soggetto ad una associazione camorristica equivale ad una vera e propria modifica della imputazione e non può essere ritenuta una mera correzione della imputazione, come viceversa era stato sino a ieri ritenuto.
Ciò determinò la separazione della posizione della Buttone da quella dei numerosi altri affiliati al clan Belforte. Il processo fu assegnato alla IV sezione della Corte di appello di Napoli, la quale, in data 30.01.15, escluse la aggravante dell’essere la Buttone capo del sodalizio e ridusse la pena ad anni 8 di reclusione.
Grazie a questo importante risultato, dopo pochi mesi, Buttone Maria ottenne la revoca del regime di cui all’art. 41 bis O.P., con decisione emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Ma il colpo di scena avviene in cassazione il 4 marzo 2016 . La Suprema Corte – I sezione penale – in accoglimento dei motivi di ricorso scritti dall’unico difensore della Buttone, l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, ha annullato la sentenza di condanna ad anni 8, disponendo un nuovo giudizio innanzi a diversa sezione della Corte di Appello di Napoli.
Condivisa dai Giudici di legittimità una ben precisa tesi giuridica portata avanti sin dal primo grado di giudizio dalla difesa: allargare il periodo di appartenenza di un soggetto ad una associazione camorristica equivale ad una vera e propria modifica della imputazione e non può essere ritenuta una mera correzione della imputazione, come viceversa era stato sino a ieri ritenuto. Il processo è giunto a conclusione oggi. Maria Buttone è stata condannata a sei anni di reclusione, nonostante i precedenti penali e l’aver assunto un ruolo di primo piano nell’ambito del gruppo camorristico. “Tale decisione giunge in un particolare periodo storico del clan Belforte – sottolinea l’avvocato Vannetiello -. Come è noto, da un lato, Belforte Salvatore da qualche anno oramai ha iniziato la collaborazione con la giustizia, dall’altro, tale scelta non è stata seguita da Belforte Domenico il quale continua a lottare nella aule giudiziarie. Infatti, proprio tra pochi giorni, il 1 dicembre del 2016, innanzi al Gup presso il Tribunale di Napoli, dott.ssa Mancini, inizia il processo relativo all’omicidio di Dallarino Giuseppe che si svolgerà con le forme del rito abbreviato”.