La squadra mobile di Napoli cerca il latitante Luca Materazzo anche nel centro America e in particolare tra Panama e Nicaragua. E’ una traccia ritenuta verosimile ma per arrivare fin dall’altra parte del Mondo il rampollo di Chiaia ricercato per l’omicidio del fratello Vittorio avrebbe dovuto compiere un percorso tortuoso. E poi c’è la questione economica: il costo del viaggio, visto che, almeno secondo quanto si è a conoscenza, il fuggitivo non avrebbe avuto una grossa disponibilità economica. Eppure in America Latina avrebbe avuto dei contatti stabiliti negli anni scorsi. Di certo non è partito ne da Napoli ne da Roma in aereo. Anzi come riporta oggi Il Mattino, ci sarebbe un tassista tra i testimoni ascoltati dagli investigatori che lo avrebbe accompagnato il giorno della sua sparizione alla stazione di piazza Garibaldi. Di li avrebbe preso un treno per una destinazione sconosciuta e fatto perdere le sue tracce. Gli investigatori stanno visionando i filmati della stazione per capire su quale treno è salito. Le tracce di Luca si sono perse ormai da oltre due settimane e a questo punto se il latitante ha saputo organizzare la fuga a questo punto può essere in qualsiasi parte del mondo. Bisogna capire come farà a sostenere la latitanza: o decide di rifarsi una vita cercando lavoro oppure gode di qualche appoggio all’estero. Gli investigatori intanto non mollano nessuna traccia. Mentre dal punto di vista investigativo continuano le polemiche.
Il movente per l’omicidio di Vittorio Materazzo, l’ingegnere ucciso a Napoli il 28 novembre, e’ da ricondursi – secondo il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Bruno D’Urso che ha firmato l’ordinanza per omicidio volontario contro Luca, fratello della vittima – a dissidi di natura economica. In particolare, il rancore del 35enne tutt’ora ricercato dalle forze dell’ordine anche all’estero sarebbe legato alla circostanza che Vittorio, dopo la morte del padre Lucio, aveva rifiutato di dividere l’eredita’ milionaria della famiglia Materazzo che conta numerose proprieta’ e un’azienda edile, fino a quando non si fossero accertati i motivi del decesso del capostipite. Erano infatti stati presentati due esposti che chiedevano la riesumazione del cadavere. Solo tre giorni la Procura ha deciso di riaprire il caso che era stato archiviato. Questi dissidi economici, per il giudice, avrebbero creato dei forti motivi di contrasto tra Luca e Vittorio. Anche se il gip si e’ soffermato molto sulla figura della vittima, descritta nell’ordinanza di custodia cautelare come “forte e severa”. Il giudice riporta la testimonianza di alcuni familiari di Vittorio e amici di famiglia, che hanno raccontato di un carattere “particolarmente veemente nelle discussioni”.
Subito dopo l’omicidio di Vittorio Materazzo, l’ingegnere ucciso a Napoli il 28 novembre scorso, il fratello Luca, unico indagato per quel delitto, “si e’ accorto che dalla casa all’ultimo piano della palazzina di famiglia in viale Maria Cristina di Savoia, erano spariti degli indumenti. Una sensazione che ha anche raccontato agli investigatori la sera stessa in Questura a quando e’ stato interrogato e, a sua insaputa, sottoposto al prelievo del Dna. Non c’erano segni di effrazione sulla porta, ma le chiavi per entrare nel suo appartamento ce le avevano tutti i fratelli, perche’ quella era la casa del padre Lucio con il quale ha vissuto fino al giorno della morte”. A raccontarlo sono i difensori del 35enne, Gaetano e Maria Luigia Inserra. Spiegano di aver visto l’ultima volta il loro assistito il 7 dicembre quando ha firmato loro il mandato.
“Luca Materazzo a ritenuto di allontanarsi e darsi alla latitanza? Lui non e’ uno sprovveduto. E’ laureato in legge, una persona preparata e sa delle conseguenze delle sue azioni. Ma bisogna anche dire che non si e’ mai opposto agli esami a cui e’ stato sottoposto, ha autorizzato le perizie sui computer e quelle sul foulard sequestrato nelle scale di fronte il luogo dell’omicidio – hanno spiegato i due avvocati – ha avuto forse timore dei tempi degli accertamenti giudiziari, delle pressioni mediatiche e quindi ha pensato di non farsi trovare. Perche’ lo abbia fatto bisogna chiederlo a lui”. I difensori ritengono che le lacune presenti nelle rilevazioni del Dna possono essere colmate inviando tutto ai Ris che hanno attrezzature in grado di valutare la degradazione delle tracce di cromosomi presenti sui reperti sequestrati a poca distanza dalla scena del crimine. “Non possiamo parlare di complotto contro Luca ma di certo non possiamo essere certi dei risultati investigativi ai quali si e’ arrivati – spiegano – su alcuni indumenti, uno slip e calzini, oltre alle tracce della vittima c’erano tracce miste, alcune delle quali riferibili alla indagato ma molto frammentate, vecchie”. Questo vuol dire, secondo la tesi della difesa, che qualcuno avrebbe potuto prelevare diverso tempo fa gli indumenti di Luca per creare a un capo espiatorio su cui far concentrare le indagini. E’ ancora prematura la richiesta di presentare una istanza al Tribunale del Riesame, ma certamente gli avvocati chiederanno l’acquisizione dei tabulati telefonici di Luca e della vittima, che al momento non risultano agli atti, cosi’ da poter stabilire quale sia stata la ultima telefonata ricevuta dall’ucciso forse per attirarlo in una trappola.