“Ti chiedo scusa. Mi hanno messo i vermicelli in testa. Dicevano che volevate uccidermi”, la lettera choc del pentito Esposito al boss dei “Bodo”

La lettera di scuse al boss. Le scuse per averlo tradito. “Mi hanno messo i vermicelli in testa. Dicevano che volevate uccidermi”. Lo scrive Domenico Esposito detto ‘o cinese pentito del clan De Micco “Bodo”. La lettera indirizzata al boss di Ponticelli Marco De Micco è saltata fuori mattina nel corso del processo  per il duplice omicidio del 29 gennaio del 2013 in cui rimasero uccisi Gen­naro Castaldi (vero obiettivo del raid) e Antonio Minichini (nipote della lady camorra Teresa De Luca Bossa). Gli imputati  di questo processo sono tre: il ras Sal­vatore De Micco  (collegato in video-conferenza essendo detenuto in regime di 41bis), Gennaro Volpicelli  e il pentito Domenico Esposito. Il colpo di scena arriva subito quando prendono la parola, per il controesame del pentito, gli avvocati Stefano Sorrentino e Saverio Senese, che assistono De Mic­co, che esibiscono il documento inedito. E’ una lettera fornita loro da Marco De Micco, fra­tello di Salvatore. Una lettera che De Micco ha ricevuto quasi due anni fa, mentre si trovava detenuto in regime di arresti domiciliari in un comune del Milanese. Gliel’ha fatta recapitare Domenico Esposito – viene ricostruito – che all’epoca dei fatti era già pentito ed era nascosto in una località protetta. In quella missiva Esposito implo­rava il perdono di De Micco per la sua scelta di rottura e spiegava di essersi gettato tra le braccia dello Stato perché Roberto Boccardi e un altro affiliato al clan gli avevano riferito che i De Micco in­ tendevano ucciderlo. Brividi nell’aula:il pubblico ministero antimafia Francesco Valen­tini, di quella lettera, non ne sapeva niente. Esposito convinto del fatto che la storia non sarebbe mai venuta fuori, forse convinto del fatto che De Micco avesse bruciato quel pezzo di carta come il mittente aveva racco­mandato di fare, non aveva detto niente. E allora ha dovuto ammettere: “In quel periodo era sotto protezione in una lo­calità in provincia di Milano. Quando mi arrivò il decreto di citazione per un’udienza in cui c’erano anche i De Micco, lessi che Marco De Micco era ai domiciliari in un paese che stava a pochi chilometri da me. Ho temuto per la mia vita, che mi trovasse e mi uc­cidesse. E così gli ho scritto”. Sarebbe invece bastato informare la Dda della vicinanza pericolosa e chiedere il trasferimento, cosa che Esposito ha successi­vamente fatto. Ma la frittata era già fatta perché ora la difesa del boss già la sventola come prova di un forte odio che Esposito nutre per i De Micco. Un odio che avrebbe portato Esposito ad accusare i De Mic­co per reati non commessi.

(nella foto il pentito Domenico Esposito ‘o cinese e il boss dei “Bodo”, Marco De Micco)

 


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