Camorra, il gioielliere dei Vip si difende: “Ebbi paura, non ho avuto il coraggio di dire di no al boss”

“Antonio Lo Russo mi aspettava in piazza dei Marti­ri. Sapeva che io avevo affitta­to un appartamento nella zo­na di Chiaia e mi chiese se po­tevo prestarglielo per qualche tempo. Aveva un tono autori­tario e non ce l’ho fatta. Non ho avuto il coraggio a dirgli di no”. Si è difeso così Luigi Scognamiglio, detto “gigino elite” il ti­tolare della gioielleria Calabritto 28 arrestato martedì per favoreggiamento aggrava­to dalle finalità mafiose per avere favorito la latitanza di Antonio Lo Russo. Assistito dagli avvocati Sergio Cola e Andrea Imperato, Scognamiglio è stato interrogato dal gip Francesca Ferri, che ha emesso l’ordinanza su richiesta dei pm Enrica Parascandolo, Henry John Woodcock, che con il procuratore aggiun­to Filippo Beatrice coordinano le indagini. E ha voluto spiegare la sua versione dei fatti collocando il primo incontro con Lo Russo latitan­te in piazza dei Martiri e non alla Doganclla, come sostiene il collaboratore: “Ero nel ne­gozio di via Calabritto — ha spiegato — quando venne a chiamarmi un mio conoscen­te, soprannominato Patanella. Mi portò a piazza dei Mar­tiri, dove, in un’auto parcheg­giata, c’era Antonio Lo Russo. Poiché le nostre mogli erano amiche, sapeva dell’appartamento di vicoletto Sant’Arpino. Fui intimidito e non riuscii a rifiutarglielo.Capii che era latitante, che era ricercato, sia dal suo atteggiamento sia dalla sua esplicita ammissione, che mi disse che era in fuga. In tutto è stato con me una decina di giorni, quando si decise a lasciare la mia abitazione. Poi, prima di abbandonare Napoli, Lo Russo trascorse l’ultima notte in zona Capodimonte, nella dependance della villa di mia moglie. Anche in questo caso non potevamo rifiutarci di assecondare la sua richiesta”. Scogna­miglio inoltre smentisce di avere portato al latitante i vi­veri . Il gip lo ha rim­proverato di non avere segna­ lato alle forze dell’ordine la presenza di Lo Russo: ancora una volta Scognamiglio ha af­fermato di essere fortemente intimorito.
Quanto al poliziotto suo presunto socio occulto, di cui parlano sia Lo Russo sia altri collaboratori, il gioielliere ha fatto al giudice nome e co­gnome. Non si tratta di un so­cio: il poliziotto, che all’epoca lavorava nella zona di Miano, aveva una cartolibreria a Fomia ed era interessato a tra­ sformarla in gioielleria; per questo motivo gli chiedeva spesso informazioni e sugge­rimenti. E a proposito dei suoi legami con gli scissionisti del clan Amato-Pagano di Secondigliano: “Nessun coinvolgimento patrimoniale con quelli di Miano, conosco di sfuggita Peppe Ammendola (braccio destro del boss Contini, ndr), perché siamo della stessa zona. Nella mia vita di imprenditore, ho praticato qualche sconto a soggetti di Secondigliano, senza consentire alcuna cointeressenza tra le mie attività e soldi o oggetti di provenienza illecita”. Ha anche spiegato che i rap­porti con gli scissionisti si limitavano a compravendite di orologi. È vero che andava a Melito negli appartamenti in cui i camor­risti si riunivano, ma lo faceva solo per incassare il denaro che gli spettava. Nei prossimi giorni gli avvocati faranno istanza al Tribunale del Ricsame per chiedere la scarcera­zione dell’indagato.


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