Fu un omicidio preterintenzionale: verso il processo i tre carabinieri che arrestarono Stefano Cucchi il 15 ottobre del 2009. A otto anni di distanza e dopo una serie di perizie contrastanti, la Procura di Roma chiude le indagini nell’inchiesta bis per la morte del giovane romano, arrestato per spaccio. I tre carabinieri sono ritenuti responsabili del pestaggio che portò poi alla morte di Cucchi sei giorni dopo in carcere. Per altri due carabinieri sono ipotizzati i reati di calunnia e falso. L’accusa di omicidio preterintenzionale è contestata ad Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, carabinieri in servizio, all’epoca dei fatti, presso il Comando Stazione di Roma Appia, che procedettero all’arresto di Stefano Cucchi in flagranza di di reato per detenzione di droga. Tedesco è accusato anche di falso. A Roberto Mandolini, comandante Interinale della stessa stazione di Roma Appia sono attribuiti i reati di calunnia e falso. Accusa di calunnia anche per lo stesso Tedesco, e per Vincenzo Nicolardi, anch’egli militare dell’Arma.
Secondo quanto concluso dal pm Giovanni Musarò e dal Procuratore Giuseppe Pignatone, a Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco è attribuito il pestaggio di Cucchi “con schiaffi, calci e pugni”, provocando con “una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale” lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti, che poi hanno portato alla morte. Stefano Cucchi fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con “schiaffi, pugni e calci”. Lo scrivono il procuratore della repubblica Giuseppe Pignatone ed il sostituto Giovanni Musarò nell’avviso di chiusura indagine. Le botte, “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.
“Quello che voglio dire a tutti è che bisogna avere fiducia nella giustizia. E resistere”. Così Ilaria Cucchi, sorella del geometra 32enne morto, commenta la richiesta del Pm di Roma che contesta il reato di omicidio preterintenzionale a tre dei carabinieri che arrestarono Stefano.
“Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d’ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio – dice Ilaria Cucchi -. Ricordate la foto del mio pianto il giorno della lettura della sentenza di primo grado? – ha aggiunto -. Ci gettiamo alle spalle sette anni durissimi, di dolore, di sacrifici, di tante lacrime amare. Ma valeva la pena continuare a crederci”.
“Bisogna esser soddisfatti dopo questo tipo di notizie. Aggiungo che dopo 7 anni si può ripetere che avevamo avuto ragione allora a dire certe cose. La resistenza, nostra e della famiglia Cucchi, ha pagato”. Così ha detto l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia di Stefano Cucchi e parte civile nel processo. Il penalista ha preso posizione dopo la formale conclusione dell’inchiesta bis sulla morte del giovane geometra e la messa in stato d’accusa, per omicidio preterintenzionale di 3 carabinieri.
L’atto di chiusura delle indagini per l’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi è firmato dal pm Giovanni Musarò e dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone. L’accusa più grave, quella di omicidio preterintenzionale, è attribuita ai carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco. I tre militari, per lungo tempo indagati per lesioni personali, si aggiungono anche altri due che devono rispondere del reato di calunnia e di falso nel verbale di arresto. I tre carabinieri accusati di omicidio sarebbero autori del pestaggio di Cucchi “con schiaffi, calci e pugni”, che ha provocato – secondo l’impostazione dei pm – con “una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale” lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti, che poi hanno portato alla morte. Falso e calunnia sono contestati a Tedesco e il maresciallo Roberto Mandolini (che comandava la stazione Appia dove nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 venne fatto l’arresto) e, solo per il secondo reato, al carabiniere Vincenzo Nicolardi.
Il reato di falso in atto pubblico e’ legato al verbale di arresto in cui si “attestava falsamente” che Cucchi era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento: circostanza che per i magistrati non e’ vera ma ha rappresentato la ragione del pestaggio di Cucchi, ritenuto “non collaborativo all’operazione”. Mandolini e Tedesco, poi, non avrebbero verbalizzato la resistenza opposta dal geometra nella stazione dei carabinieri dove venne portato per il fotosegnalamento, e avrebbero “attestato falsamente” che Cucchi non aveva voluto nominare un difensore di fiducia. La calunnia, invece, e’ legata alla varie testimonianze rese al processo svoltosi in corte d’assise dove erano imputati tre agenti della polizia penitenziaria, poi assolti con sentenza definitiva: Tedesco Mandolini e Nicolardi, “affermando il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009” li accusavano implicitamente, pur “sapendoli innocenti”, delle botte inflitte al detenuto.