La lettera testamento di Stefania e il racconto choc: “Alla mia morte mio figlio deve essere affidato ai miei genitori”

Sant’Antimo. Le ultime volontà, nonostante i suoi 26 anni, le aveva messe per iscritto. Come se presagisse una morte improvvisa. Stefania Formicola, uccisa ieri mattina dal marito, quel testamento lo ha lasciato su un foglio a quadretti. Due anni fa. Il quotidiano Il Mattino ha pubblicato quella lettera. “Alla mia morte, qualunque ne sia la causa, mio figlio deve essere affidato a mia madre e mio padre e in caso di loro morte a mia sorella Fabiana” scrive l’ennesima vittima di un uomo violenta. Nel frattempo, dal matrimonio con Carmine D’Aponte era nato un altro figlio e quella volontà di affidare i figli ai genitori e alla sorella non è mutata. Anzi. E’ cresciuta. Col tempo è cresciuto anche il disagio di vivere con un marito violento tanto che quindici giorni fa di tagliare quel rapporto violento. Adriana Esposito e Luigi Formicola, insieme ai parenti, sfogano il dolore e mostrano quella lettera- testamento poche ingenue righe, nelle quali c’è la volontà netta di dare una stabilità emotiva al proprio figlio. Piangono i genitori, i parenti, e analizzano con fredda lucidità il vissuto di tanti anni. L’apparenza di un matrimonio già minato dalla violenza e forse la titubanza a lasciare una vita nella quale l’amore non era quello sognato. Nella casa di San Marcellino si ricordano episodi. “Si erano conosciuti attraverso un sito internet – dice Adriana la mamma di Stefania – poi avevano deciso di mettersi insieme e di sposarsi anche se lui aveva già una figlia da una prima compagna”. Una convivenza difficile, lui senza un lavoro vero, faceva lo ‘stuccatore’, l’imbianchino a nero. E così il padre di Stefania aveva deciso di sistemare quella nuova famiglia aprendo un bar per far lavorare il genero. Ma quell’attività commerciale non era mai decollata e la situazione era via via peggiorata. “Carmine la picchiava, la maltrattava, poi si metteva in ginocchio e chiedeva perdono – dice Adriana – lei aveva paura, ma non si rivolgeva alle forze dell’ordine perché sapeva come sarebbe finita se lo avesse fatto”. Quindici giorni fa la decisione più drastica. “Non lo voglio più – aveva detto – Carmine mi picchia e mi ha anche puntato una pistola in faccia”. Il padre era andato a raccontare l’accaduto ai carabinieri di San Marcellino: “Carmine, però, non si era arreso – racconta Adriana – e dopo qualche giorno aveva bussato alla nostra porta, si era inginocchiato e aveva chiesto scusa. Io gli avevo risposto di rivolgersi all’avvocato. Era mio dovere difendere mia figlia”. Erano stati allertati di nuovo i carabinieri. Poi i due erano andati insieme da un avvocato per avviare la separazione legale. L’avvocatessa Titti Becchimanzi ricorda: “Ho provato a spianare la strada a una separazione consensuale, ma lui continuava a parlare del suocero: ce l’aveva con la famiglia della moglie che accusava di essersi intromessa a prendere le parti della figlia”. E’ vero i genitori si erano prodigati affinché quell’inferno finisse, qualsiasi genitore l’avrebbe fatto: “E che deve fare una mamma quando vede una figlia per terra, riempita di botte, senza un dente, con un alluce spezzato perché il marito l’ha buttata sotto con la macchina? – dice Adriana – Cosa deve fa quando sa che la figlia è stata trascinata per metri e metri con l’auto dopo che il marito l’ha sbattuta fuori dallo sportello? La deve difendere, e io l’ho fatto”.


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